Artigiani Scultura, Pittura e Intarsio

Ulderico Pinfildi


Napoli realisticamente svelata:
dal passato artistico un presente plasmabile

“In questa cameretta nacque il 23 giugno 1668 Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai diciassette anni e nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usò passare le notti nello studio. Vigilia giovanile della sua opera sublime. La città di Napoli pose”.

Percorrendo il Decumano Inferiore, in via San Biagio dei Librai, tra la folta folla di turisti e un vociare di lingue di diversa provenienza, in alto si scorge questa scritta che racconta i natali di Gianbattista Vico, filosofo ed eccellenza culturale del patrimonio partenopeo del 1600, che in questa via nacque e trascorse la sua infanzia. Questa strada in particolare costituisce, nell’immaginario collettivo partenopeo, uno dei percorsi più magici, affascinanti ed emozionanti della città, perché in questo lungo e rettilineo cammino – che come un’arteria conduce su un’unica rotta in un viaggio di sorprendenti e nostalgici trascorsi della città, tra palazzi nobiliari, presepi, botteghe nuove e antiche, chiese e fatiscenze – la città stessa sembra si spacchi nelle sue viscere.

Qui si coglie allora tutta l’essenza di Napoli perché tra la baraonda e il trambusto, il frastuono del dedalo delle viuzze del centro strette, dove i balconi sembrano toccarsi cuore a cuore, questa via impone la sua straordinaria forza geometrica regolare, dividendo quell’agglomerato di emozioni viscerali coinvolgenti e un po’ confuse del centro, in una certezza assoluta: a Napoli, proprio come in quella lunga via, c’è una narrazione di un viaggio che dal passato al presente conduce ricordando – a chi si è messo in cammino- che in quelle viscere ci si può perdere e confondere, ma che su quella strada si può però anche trovare le possibilità di rinascita, senza perdere mai il percorso passato.

A pochi metri da San Biagio dei Librai si scorge il cardine di San Gregorio Armeno che si inoltra verso il Decumano superiore: si percorre con difficoltà tra volti che, con sguardi divertiti e attoniti, vengono a visitare la strada dei presepi, unica nel suo essere partenopeo. In realtà, il presepe non è stato inventato a Napoli, ma a Napoli ha assunto una dimensione completamente diversa. Infatti, nel Settecento, durante il periodo Borbonico, il presepe è uscito dalle chiese ed è diventato un oggetto di culto all’interno delle case nobiliari, iniziando così un fenomeno unico al mondo. Il presepe napoletano del 1700 quindi mise in atto un piccolo grande miracolo, carico di stupore: diede i natali a Gesù “di Napoli”, in terra Campana tra le rovine dei templi ritrovati, a Ercolano o a Pompei, o in un vivo spaccato della città. Quindi, quando si guardano i vestiti, i costumi e i volti dei pastori del presepe napoletano in realtà si guardano i vestiti, i volti e gli usi della Napoli del ‘700, in quanto fenomeno Barocco e anche Rococò: un tripudio di colori, una vastità e magnificenza di forme umane e angeliche che ascendono verso l’alto.

Qui, a San Biagio dei Librai, sorge l’atelier d’arte del Maestro Ulderico Pinfildi, eccellente scultore partenopeo che, ponendosi in ascolto del grande passato e della tradizione presepiale, lo ha voluto però innovare richiamandosi a quel patrimonio eccezionale dell’arte italiana dei dipinti più famosi di Caravaggio, ma anche Tiziano e di Raffaello. Così, innamorandosi bramosamente di quell’arte – innanzitutto di Caravaggio – ha colto nei suoi dipinti le forme, a cui ha dato una materia plasmabile concreta. I pastori del Maestro Pinfildi sono diventati più vicini alla realtà, alla sofferenza, alla vita umana in tutte le sue vicissitudini. Ulderico Pinfildi spiega: “Per Caravaggio tutto è maledettamente terreno; tutto si svolge in terra: nessun angelo sale verso il cielo, perché ‘il qui’, la dimensione terrena è reale, è forte e pregnante… Immaginiamo di estrapolare sette figure da sette dipinti del Caravaggio e di inserire queste figure all’interno di un presepe napoletano.” Così una magia d’arte si realizza davanti ai nostri occhi: un dipinto di Caravaggio viene realizzato in ceramica e in legno. Immaginiamo poi di vestire questi pastori con abiti fatti di sete, che hanno gli stessi colori dei quadri del Caravaggio, e poi immaginiamo di recarci presso la Chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli, dove è esposto uno dei quadri più belli di Caravaggio ed, entrando, vedere lì sotto ai suoi piedi un presepe unico che sembra prendere vita dal quadro stesso. Così Pinfildi continua: “Le sette opere di misericordia è uno dei quadri più particolari di Caravaggio esposti qui a Napoli, al Pio Monte della Misericordia perché è proprio lì dal 1600, come volle lo stesso Caravaggio.

Da sette dipinti di Caravaggio ho realizzato diversi volti di sette pastori e li ha contestualizzati, ponendo quel presepe davanti alla Chiesa del Pio Monte della Misericordia”. Egli steso ci svela: “tra i pastori compaiono una Madonna dei Pellegrini con uno dei Pellegrini, San Giuseppe, che viene dal riposo durante la fuga in Egitto; poi Sant’Anna, l’angelo e anche il ritratto dello stesso Caravaggio, come si faceva nei dipinti di un tempo, dove c’è sempre un personaggio che guarda fuori dall’opera”. In questo modo, Ulderico Pinfildi spiega di aver voluto creare quella magica relazione tra il personaggio dipinto all’interno del quadro e lo spettatore. Così nelle opere presepiali del Maestro Pinfildi il richiamo al realismo di Caravaggio ha rotto lo schema del presepe napoletano del ‘700: nel suo presepe non c’è niente di verticale, non c’è il tripudio di angeli che sale verso l’alto, ma è tutto a posto su un unico piano reale e orizzontale. Così Ulderico Pinfildi svela: << il presepe in fin dei conti è un teatro, i pastori sono i suoi attori e l’artista è il suo regista che fa esprimere loro delle emozioni nuove e dei pensieri anche diversi … Il presepe è il racconto di una storia antica quanto attuale. E’ una vera opera di scrittura perché, quando un artista modella un pastore, crea l’anima di quel pastore. Il suo pensiero, le mani che si imprimono in quella creta le donano un’anima>>. L’artista si mette, dunque, in contatto con quella materia e la trasforma, anzi le dà una forma, materializza il suo pensiero: l’arte fa parlare un oggetto, dotandolo della parola proprio attraverso la postura, l’espressione e i volti. Ognuno poi dialoga e comprende l’opera; ognuno coglie il pensiero e le parole in quei volti, ascolta parole silenziose in quegli sguardi, le comprende nelle sospensioni e nei respiri che quasi si colgono in quelle movenze. Ulderico Pinfildi in un racconto unico a appassionante così si esprime: “io lavoro la materia da sempre, perché sono figlio di un ceramista. Studio e ambizione sono le caratteristiche fondamentali per la mia arte e la mia ambizione più grande è quella di lasciare un segno”. E nel raccontare, Pinfildi mostra uno dei sui capolavori: la Natività. Ne La Natività di Pinfildi, la carica realistica è fondamentale, perché persino la Sacra Famiglia concentra la sua attenzione verso un mendicante a cui tende le mani in segno di misericordia. Il Bambino Gesù poi è in piedi sulle gambe della Vergine Maria: lei stringe quel suo bimbo con forza appassionata, premendo dolcemente le sue mani nella sua candida e paffuta carne, che indica proprio la carnalità del Cristo e di quel Dio che si è fatto uomo e che ha salvato l’uomo nel suo essere carne.

Il medicante, invece, protende la sua mano verso la Sacra Famiglia, tenendo tuttavia una disperata posizione fetale, e mentre morbidamente cerca conforto toccandosi i capelli, anela verso la Santa Famiglia, che si mostra grandemente e realisticamente misericordiosa. E persino nell’Opera dell’Annunciazione di Maria di Pinfildi Napoli presenta il suo volto. Nella narrazione biblica l’angelo le si presenta innanzi svelandole l’arrivo del Figlio di Dio; nell’ Annunciazione di Ulderico Pinfildi, invece, Maria dorme placidamente e l’angelo, che le compare in sogno, non le svela nulla, ma le canta del futuro concepimento. La musica degli angeli si presenta qua in una forma poetica nell’Angelo Gabriele, che canta, quasi napoletanamente, quindi l’annunciazione.

Infine, Ulderico Pinfildi mostra orgoglioso un’opera che ha realizzato per suo padre: “Le tre età”. Sono tre figure presepiali assumono un significato universale, perché rappresentano simbolicamente le tre età dell’uomo. Si guardano e si trasmettono negli sguardi le conoscenze e delle esperienze, le tre età così realisticamente comunicano tra loro: sono tre artisti, sono proprio i testimoni del presepe che realizzeranno. Pinfildi poi con grande forza conclude: “questa opera è mia, non la vendo per ora, mi appartiene, riguarda me e mio padre, che ora non c’è più. Tuttavia, so che in realtà appartiene a tutti, perché quegli sguardi appartengono a tutti!”

Nella drammaticità delle sue opere, in quei capolavori ricchi di chiaroscuri e di corpi potentemente dotati di realistica fisicità, Ulderico Pinfildi così svela il presente attraverso scene presepiali e allegoriche del passato, svela se stesso e svela Napoli antica ma sempre rinnovata, sacra ma anche profana.

Contatti

Pinfildi Ulderico
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